COSA SONO LE CMFV
Capitolo VI, pp. 107-120.
Crisi di fede. Crisi di valori. Crisi di relazioni. La parola crisi, di questi tempi, si spreca. Ne fa esperienza anche la pastorale. Dalla crisi delle famiglie alla crisi delle parrocchie.
Le Comunità Maria Famiglie del Vangelo (CMFV) nascono in quest’orizzonte di crisi come un percorso di speranza.
Si tratta di un cammino nato nella terra del Poverello. Nella sostanza, nulla di particolarmente originale, dato che molti percorsi analoghi, con diverse denominazioni, si vanno diffondendo e sviluppando nella Chiesa. Segno dei tempi e dono dello Spirito, ad Assisi ha preso avvio dalla riflessione sull’esperienza di Francesco, in occasione dell’ottavo centenario della sua conversione (2006). La diocesi scandì allora il suo piano pastorale su tre grandi parole: contemplazione, comunione, missione.
Al centro fu messo il Vangelo. Di qui un programma sistematico di ascolto della “bella notizia”, con una serie di iniziative miranti a rendere le comunità cristiane sempre più familiari della Parola. Seguendo poi ancora le orme del Poverello, secondo quanto egli stesso scrive nel suo Testamento (“Il Signore mi diede dei frati”), si è riscoperto il valore della fraternità che nasce dal vangelo. E nella Porziuncola, la piccola chiesa mariana a lui tanto cara, si è ritrovato quel “simbolo”, e, ancor più, quel “calore materno”, con cui perseguire l’ideale della Chiesa-famiglia.
In questo itinerario è diventata sempre più evidente una cosa: nel clima di “slegamento” in cui versa la nostra società, a partire dalla famiglia, con inevitabili contraccolpi anche sulle comunità cristiane, lo stesso rapporto con la Parola perde di efficacia. Siamo stati così spinti a riflettere sull’esperienza originaria, mettendo a fuoco come il vangelo si è propagato negli anni del ministero di Gesù: c’è una predicazione del Maestro, che è rivolta a tutti, seminagione sui più diversi terreni. Gesù stesso poi approfondisce la sua predicazione spezzando la “Parola” a misura d’uomo, e di famiglia, nel piccolo gruppo dei dodici. La stessa Parola riproposta nel “tu a tu” della relazione. È il “metodo-Gesù”.
Questo poteva non essere un gran problema nei secoli passati, quando teneva abbastanza – pur fra tante fragilità – il tessuto sociale. Era il tempo in cui il matrimonio era solido, nelle sue prerogative di indissolubilità e apertura alla vita, e la rete delle famiglie allargate costituiva un clima comunitario del quale anche la pastorale si avvantaggiava.
La situazione oggi è totalmente diversa. La frammentazione tocca tutti gli aspetti della società, a partire dal nucleo familiare.
Di qui l’esigenza di un rinnovamento profondo della pastorale e in particolare del modello parrocchiale.
Tra gli aspetti decisivi di tale rinnovamento c’è l’urgenza di “ritessere”, con la forza propria del vangelo, i rapporti tra le persone. Ne va dell’esperienza stessa della Chiesa: forse in questo la nostra Europa può apprendere dalla Chiesa di altri continenti: “la Chiesa come Famiglia potrà dare la sua piena misura di Chiesa solo ramificandosi in comunità sufficientemente piccole per permettere strette relazioni umane” (Ecclesia in Africa n.89). In modo analogo ci si regolò nella prima evangelizzazione compiuta dagli apostoli, sia nella Chiesa di Gerusalemme, che nella missione ai gentili. La predicazione era rivolta a tutti, ma la vita dei discepoli, anche per le esigenze pratiche dovute all’assenza di edifici di culto, si svolgeva in piccole comunità che si radunavano nelle case. Incontrandosi tra fratelli in piccoli numeri – chiese domestiche – era più facile stabilire rapporti improntati al senso della famiglia.
Abbiamo così riscoperto la dimensione “familiare” della vita cristiana. Una dimensione riscoperta anche dalla teologia, nel quadro dell’ ecclesiologia di comunione rilanciata dal Concilio Vaticano II.
Purtroppo il modo con cui si è sviluppata la pastorale nei secoli di “cristianità” non ha favorito questo clima di famiglia. Tante aggregazioni lo supponevano e lo richiamavano, dalle congregazioni religiose alle confraternite. Ma i numeri più o meno grandi di fedeli appartenenti a una comunità parrocchiale non lo rendevano facile. La parrocchia, articolazione di base, e non superata, della pastorale, si è mostrata adatta più ad esperienze di massa che agli incontri di tipo familiare.
Anche la nuova evangelizzazione si gioca molto sulla sua capacità di tessere comunione tra le persone. Ciò vale in primo luogo per le famiglie in senso proprio, quelle costituite sulla base del matrimonio-sacramento. Ma le famiglie “spirituali” sono altrettanto importanti, perché esprimono e alimentano in modo eloquente la relazione ecclesiale. Esse includono le famiglie “coniugali”, ma accolgono anche altri cristiani non legati da vincolo matrimoniale o propriamente familiare. È il modello vissuto da Gesù stesso e sperimentato nella prima ora del cristianesimo. “Chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre” (Mc 3, 35). Quel modello originario resta esemplare: si tratterà ovviamente di adattarne le forme, ma la formula, che ha affrontato con successo la prima evangelizzazione e la prima “implantatio ecclesiae” nell’immenso e accidentato terreno della cultura pagana, non ha perso nulla della sua attualità. È una grande risorsa da rimettere in campo per la nuova evangelizzazione.
Le CMFV partono da questa convinzione. Scommettono su questa vitalità dell’esperienza originaria.
Occorre subito precisare che non vogliono in alcun modo essere una nuova aggregazione o movimento. Si identificano con la parrocchia stessa. Essa è sollecitata ad “articolarsi” in tante piccole comunità, che vivono un cammino di fede e di sostegno reciproco tra i loro membri, mettendosi in rete con altre comunità e partecipando regolarmente alla vita parrocchiale (e naturalmente diocesana!). Si tratta di far diventare la parrocchia una “famiglia di famiglie”, o una “comunione di comunità”, per usare termini correnti in diversi documenti ecclesiali.
L’icona a cui si guarda è quella della prima comunità di Gerusalemme descritta dagli Atti degli Apostoli. È una proposta di crescita soprattutto per quanti già partecipano alla vita parrocchiale, ma che può diventare un grande aggancio anche per cristiani che hanno perso la fede, e desiderano “ricominciare”, o per altri che si aprono per la prima volta all’annuncio. Per i cristiani più inseriti che fanno già esperienza di “lectio divina” o frequentano Centri di ascolto della Parola, si tratta di passare dallo stadio dell’approfondimento della Scrittura a quello di una Parola vissuta comunitariamente, attraverso un patto di fraternità che lega un gruppo tra 8 – 12 persone, e le aiuta a vivere come “famiglia spirituale”, con intensità di rapporti fraterni, senza chiusure e in totale sintonia con il cammino parrocchiale e diocesano.
(Dalla Introduzione al libro del vescovo Domenico Sorrentino “Chiesa come famiglia”)