RITIRO DEL 16 FEBBRAIO 2020 ALLA DOMUS LAETITIAE ASSISI

La giornata di ritiro, guidata dal nostro Padre Vescovo Domenico Sorrentino, è stata tutta incentrata sul tema dell'amore di Dio e sulla preghiera.

Dopo le lodi e una breve riflessione su un passo del Libro di Ezechiele (Ez. 36:25-27) un pensiero è andato ai sofferenti, in occasione della Giornata Nazionale del Malato. 

Dio vive di sé donandosi. Dio è amore; Dio è tutto dono di sé quando esce per la creazione e al vertice di ogni cosa pone l'uomo. L'amore divino ci chiama ad uscire da noi stessi per far vivere il nostro prossimo che diventa la nostra vita e la nostra misura. Noi siamo chiamati ad amare, perché Egli ci ha amato per primo. Tutto è una conseguenza del Suo dono di amore. Se ci sentiamo veramente amati, se sentiamo lo Spirito Santo in noi, ci diventa spontaneo abbracciare questo flusso di amore ed effonderlo sui nostri fratelli. Dopo la resurrezione Dio riversò col suo alito questo flusso divino sui suoi discepoli. Ma noi, invece di unirci, spesso diventiamo distanze, costruiamo muri.

Giovanni scrive: "Se uno dice: «Io amo Dio», ma odia suo fratello, è bugiardo; perché chi non ama suo fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto" (1Giovanni 4:20). A noi sembra di poter amare Dio anche se non amiamo i nostri fratelli, ma questa idea non può che essere pura illusione. Ciò accade perché la nostra preghiera è quasi sempre una preghiera di sola richiesta. Dio accetta la preghiera, ma questo nostro richiedere deve essere il secondo momento di un incontro che è in primo luogo contemplativo, che si rivolge a Dio dicendo: "Io ti amo e so che, nonostante i miei problemi, la mia malattia, le mie difficoltà tu mi ami". Lo sguardo contemplativo rivolto a Dio fa sì che la nostra preghiera non sia una preghiera egoistica: nella stessa Bibbia c'è un cammino di preghiera che raggiunge il suo vertice nella croce. Gesù prega immolandosi, perdendosi per noi. Al vertice del Golgota Dio spiega tutto e ci dice: nel Vecchio Testamento ho sopportato preghiere non del tutto precise, ma ora si deve pregare così. Solo questa è vera preghiera. Dobbiamo allontanare l'idea della dissociazione: non è possibile, infatti, avere fede se questa non si concretizza nelle opere dell'amore. "Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa. (Giacomo 2: 14-17). A cosa serve una fede fatta di parole che non si concretizza in azioni di carità? La fede che non diventa carità è morta. Le preghiere da sole non contano. Dobbiamo invece diventare preghiera come San Francesco, la fede si deve tradurre in vita. Noi crediamo in Dio, ma anche il demonio ci crede. Dobbiamo fare la differenza!

"Se dunque presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono" (Matteo 5: 23-24). Queste parole non vanno dimenticate mai quando si va a Messa. Si deve cercare una riconciliazione col nostro fratello; se poi costui non accoglie il nostro invito, occorre aspettare i suoi tempi e i tempi di Dio. Il segno della pace alla S. Messa ci deve far abbracciare con sincerità e amare pienamente i nostri fratelli, come Dio ha abbracciato ognuno di noi. Così va ricevuto Gesù, che non è tutto e solo per me. Se leggiamo il brano del buon samaritano con attenzione possiamo ben capire ciò che Dio si aspetta da ciascuno di noi: "Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va' e anche tu fa' lo stesso" (Luca 10: 30-36). Passa il sacerdote, guarda il ferito e va oltre; passa il levita e anche lui va oltre: Il Samaritano, che era considerato l'eretico, fa qualcosa che lo fa diventare icona di Gesù: si ferma, cura l'infermo, lo porta all'albergo, paga per le sue cure presenti e future. Il tempio di Dio in quel momento si trova lì, sulla strada. Tutti i sacrifici, i salmi fatti nell'edificio del tempio da soli non contano nulla. Essere di Gesù significa tradurre la nostra fede in atti concreti di amore e carità verso il prossimo. Da qui devono ripartire le Famiglie del Vangelo. Perché lo scenario odierno è molto simile a quello delineato da Paolo nella Lettera ai Corinzi, una comunità molto vivace che però viveva nella dissolutezza. Questa collettività non aveva né templi, né chiese, né altri punti di ritrovo: aveva solo le case. È lì che si forma la prima Famiglia del Vangelo della storia, quella fondata da Aquila e Priscilla. Riportiamo la Chiesa nelle case! Paolo era venuto a sapere di ingiustizie che venivano perpetrate nelle case di Corinto. Ad esempio alle cene di condivisione molti mangiavano e bevevano con sregolatezza lasciando poco o niente ai servitori che, per motivi legati al lavoro, potevano raggiungere il gruppo solo più tardi. " Mentre vi do queste istruzioni, non posso lodarvi, perché vi riunite insieme non per il meglio, ma per il peggio. Innanzi tutto sento dire che, quando vi radunate in assemblea, vi sono divisioni tra voi, e in parte lo credo. È necessario infatti che sorgano fazioni tra voi, perché in mezzo a voi si manifestino quelli che hanno superato la prova. Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla Chiesa di Dio e umiliare chi non ha niente? Che devo dirvi? Lodarvi? In questo non vi lodo!" (1Corinzi 11: 17-22). E prosegue successivamente: "Perciò chiunque mangia il pane o beve al calice del Signore in modo indegno, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore. Ciascuno, dunque, esamini se stesso e poi mangi del pane e beva dal calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna" (1Corinzi 11: 27-30). Se riceviamo Gesù nell'Eucarestia e viviamo in contraddizione con il suo amore, siamo noi stessi a firmare la nostra condanna. San Paolo spiega che l'amore viene prima di tutto. La comunità di Corinto aveva tanti talenti, ma era andata oltre i limiti consentiti. A costoro Paolo prima spiega cosa è l'amore, poi il significato della carità. Se vediamo un nostro fratello percorrere una strada sbagliata con la fermezza e la dolcezza di una madre dobbiamo richiamarlo per riportarlo sulla retta via. Dobbiamo partire dalle sue qualità ed agire su queste, perdonare, scusare, aiutare. Il compito della Chiesa e delle Famiglie del Vangelo è quello di mettere insieme la comunità dei credenti per rigenerare la famiglia ecclesiastica sul modello delle prime comunità cristiane.

Dopo questi preziosi spunti offerti dal Padre Vescovo Domenico Sorrentino l'assemblea si è divisa in piccoli gruppi per approfondire le tematiche del giorno ed esprimere le proprie idee a riguardo. La mattinata si è conclusa con il pranzo.

Nel pomeriggio, alle 15,00, prima una condivisione di una CMFV di Costano e poi la Santa Messa del Malato nella Basilica Papale di Santa Maria degli Angeli.

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